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La nobile voce

Giuseppe De Luca, la nobile voce!
di Francesco Sanvitale

A chi abbia ascoltato il baritono Giuseppe De Luca anche per pochi minuti, parrà quanto mai appropriata e calzante la definizione di "nobile" per la sua voce. Pochi cantanti nella storia del melodramma hanno saputo caratterizzare le proprie interpretazioni con uno stile di canto tanto lineare ed elegante, incontro perfetto di istintuale creatività artistica e perfetta struttura tecnica. Vissuto in un'epoca di rivoluzionari mutamenti nell'opera con il delinearsi di sempre più nuove, ardite e difficilissime frontiere della vocalità e dei ruoli drammatici, De Luca ha stigmatizzato, in oltre cinquant'anni di carriera, l'artista duttile, l'interprete sempre in equilibrio tra tradizione e modernità, il perfetto conoscitore del proprio mezzo espressivo, capace di dirottarne la prora, con qualunque mare, verso le mete indicate dalle urgenze dell'arte e sempre raggiunte incomparabilmente. Ecco perché "la nobile voce" di Giuseppe De Luca, anche dalle incisioni più antiche (le prime sono del 1902), ci giunge di grande attualità: una lezione di stile e di tecnica altissima. Si comprendono così l'infinità del repertorio, la capacità di passare da un autore all'altro, da questo a quel personaggio, da una drammaturgia vocale a quella opposta, non soltanto con aderenza stilistica ineccepibile ed un leggendario talento interpretativo, ma soprattutto conservando perfettamente la bellezza e l'integrità della voce, migliorandone, con una sempre maggiore ricchezza di sfumature, la caleidoscopica resa stilistica, anche cinquant'anni dopo il debutto e ad oltre settanta anni di età.

Una così importante personalità artistica alle cui considerazioni sulla voce vanno aggiunte quelle non meno significative sull'attore e l'interprete, meritava da tempo un'iniziativa che ne riprecisasse il ruolo avuto nella vita musicale internazionale ai primi decenni del novecento.
Nella realtà della vita di ogni artista, specialmente se grande, coesistono due stati essenziali, tanto opposti, quanto di ineluttabile conseguenzialità: il trionfo e l'oblio. E' paradossalmente più fortunato quell'artista che conosciuto il primo non fa a tempo a vivere il secondo. Perché quel mondo è spietato: tanto sa dare con generosità, con irresistibile e improvvisa dovizia, altrettanto può togliere fulmineamente. De Luca ha vissuto solo in parte questo triste epilogo della sua vita d'artista. Chiuse la sua esistenza a New York nel 1950, avendo vicino il pubblico e la gente che lo idolatrava anche quando da tempo non trionfava più nelle mitiche stagioni del Met in cui primeggiò tra il 1915 e il 1935 (in quel teatro aveva tenuto 857 recite interpretando 102 ruoli).

Gli Stati Uniti, e in generale il mondo anglosassone, non hanno dimenticato De Luca: basta recarsi al Metropolitan per vedere due imponenti suoi ritratti e la loro collocazione, o acquistare una dettagliatissima discografia pubblicata in Inghilterra qualche anno fa, senza parlare delle sue incisioni che sono vivissime nei circuiti discografici d'oltremare. Le pene dell'oblio sono state inferte a de Luca dalla "sua" Italia: non avrebbe deciso, probabilmente, di tornare negli U.S.A. dopo la guerra, se ci fosse stata più considerazione per la sua personalità. Già negli anni '30 in una lettera al ministro Bottai chiedeva, ricordando il suo repertorio, di poter tornare a cantare al tatro dell'Opera di Roma, e del triste episodio dei suoi cinquant'anni di carriera riferisce con nitidezza di particolari e viva passione Nicoletta Panni in altra pagina del presente sito. L'ndifferenza è divenuta oblio subito dopo la sua morte, e nel 1976 le celebrazioni per il centenario della nascita furono a Roma, sua Città natale, in tono dimesso, quasi forzate più che sentite. Solo a Piacenza, città del suo debutto, lo ricordarono con affetto. Questa iniziativa dunque vuole avviare il rimborso di un debito che la cultura musicale italiana ha con Giuseppe De Luca.

 
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